10 giugno 2003
Il Web Advertising dopo la Dialer Age

Un e-commerce che stenta a decollare

Perché si tratta di una falsa alternativa? Cerchiamo di spiegarlo brevemente: il sito A offre servizi, contenuti etc. ai propri utenti. Per far fronte alle spese di mantenimento e sviluppo del sito deve:
1) fare pagare i navigatori del proprio sito per accedere almeno a parte dei contenuti offerti (esempio tipico il caso dei quotidiani on-line)
2) vendere la pubblicità (banner, bottoni etc.) sulle pagine del proprio sito
3) fare entrambe le cose (ipotesi che sembra essere più percorribile negli ultimi tempi)

Fin qui tutto bene. Di fatto, esiste anche in Italia la 'free press', ossia quei giornali che vengono distribuiti alla mattina presto nelle grandi città (Leggo e Metro per fare solo due esempi). Bisogna quindi trovare a chi vendere la pubblicità.

Finito il periodo in cui alcune società della cosiddetta old economy non disdegnavano di comprare banner 'a pioggia', senza badare a spese e soprattutto a quale fosse il ROI (Return on the Investment) o anche semplicemente il CTR (Click through Ratio), chi è rimasto a comprare banner, o più generalmente, pubblicità on-line?

Evidentemente solo chi può vendere qualcosa in cambio della pubblicità comprata e, a fortiori, deve vendere qualcosa che interessi la maggioranza dei navigatori, e non prodotti eccessivamente di nicchia. I siti elettivi sarebbero i mall, i marketplace, in sostanza i siti di e-commerce. C'è un piccolo problema: l'Italia, in quanto a e-commerce, è la cenerentola di tutta Europa, se non di tutto il mondo! Sono pochissimi gli italiani che acquistano on-line e sono pochi anche i siti di e-commerce (illustri i fallimenti di Flashmall e Zivago, per non parlare delle centinaia di siti di e-commerce chiusi in totale anonimato). Se il sito A deve sopravvivere (e magari generare utili) con la pubblicità, deve affidarsi a chi effettivamente è interessato all'acquisto di pubblicità. Purtroppo, secondo recentissimi dati della IBI (Internet Benchmarking Italia), nel corso dell'anno 2002 hanno chiuso circa 1400 siti di e-commerce e il trend non sembra in controtendenza almeno per il primo trimestre del 2003. Non solo, gli italiani che navigano sono cresciuti, ma molto meno del previsto e molto meno che in altre realtà europee. In sostanza, nell'anno 2002 ci siamo trovati di fronte a un chiaro fenomeno di stagnazione, se non di vera e propria recessione del mercato pubblicitario on-line.

Nell'anno 2001, le agenzie di banner advertising avevano serie difficoltà a evitare un invenduto pari al 90% delle impression disponibili. La situazione era estremamente critica: tutti i VC (Venture Capitalist) avevano repentinamente chiuso i rubinetti dei finanziamenti dopo il crollo in borsa dei titoli web negli ultimi tre quarters; la maggior parte delle Internet Company si trovavano con organici sovradimensionati, costi fissi altissimi e fatturati in costante calo. Posso senza dubbio dire che l'introduzione dei dialer, in un modo o nell'altro, ha salvato in extremis numerosissime società che oggi danno lavoro a migliaia di lavoratori.

Ma la cosa ancora più sorprendente o forse, visto ormai come gira il mondo, dovremmo dire "scontata", è che in questo "mercato dei dialers" si sono messe proprio le più importanti aziende telefoniche nazionali (che hanno creato le numerazioni a pagamento) e i più grossi portali e motori di ricerca italiani che consentono a questi siti web (anche pornografici) di farsi pubblicità (si sono venduti il nome e l'immagine per un pezzo di pane!).
(http://www.google.it/search?q=cache:U5kfFlzVEXgJ:www.ciaonet.net/nodialers.pdf+truffa+dialer&hl=it&lr=lang_it&ie=UTF-8).

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