25 marzo 2005
La 'volatilità' dei cookie. Ecco perchè il PPS non funziona

Da quando Internet è diventato popolare (a metà degli anni '90) si parla dei cookie. Molti ricorderanno il panico scatenato dalla loro 'scoperta' tanti anni fa... Girava voce che i cookie fossero dei virus o che comunque fossero delle 'porte' lasciate 'aperte' nei nostri computer per colpa di siti 'cattivi'. Come oggi quasi tutti sanno bene, i cookie non sono altro che file, lasciati su una parte del nostro computer, che ci permettono di navigare più facilmente i siti che abbiamo visitato.
I cookie servono ad esempio per memorizzare il nostro nome utente quando accediamo a un sito che prevede accesso con login. Come è chiaro, si tratta di funzioni particolarmente utili e niente affatto dannose; ma i cookie vengono sempre più utilizzati per 'tracciare' le vendite online. Come è noto, uno degli ultimi trend è quello di 'dividere i rischi' tra editore e merchant (colui che deve vendere un prodotto/servizio); la pubblicità viene sempre più venduta in modalità revenue sharing; il cliente non paga per le impression, non paga per i click, ma paga (l'editore, ovverosia chi gli fornisce il traffico) - in una determinata % - solo quando viene generata effettivamente una vendita (o, altrettanto tipicamente, un'iscrizione o una qualche 'action').

PPS: Pay (just) per sale

Come abbiamo più volte sottolineato, questa strategia pubblicitaria, introdotta sapientemente dai merchant e ingenuamente accettata dagli editori, è poco equilibrata e per vari motivi. In primis, per un motivo intrinseco: la pubblicità, da sempre, è considerabile un investimento e - come tutti gli investimenti - può essere proficuo o fallimentare; in breve, può andare bene o male. L'imprenditore stesso si definisce come un soggetto che 'rischia' per ottenere un guadagno superiore rispetto a chi invece lavora non rischiando (tipicamente, il lavoratore dipendente). Con l' 'acquisto' di pubblicità in revenue sharing, la variabile del rischio viene completamente eliminata; pensate se qualcuno - anche una ditta che vende bene e ha già dei prodotti 'storici' testati - chiedesse a un commerciale di un network televisivo di 'acquistare' pubblicità in revenue sharing.

Il dialogo sarebbe probabilmente questo:

     Potenziale cliente: "Vorrei acquistare 1000 passaggi da 30'' in fascia preserale"
     Commerciale: "Benissimo, le mostro quali sono i prezzi di listino"
     Potenziale cliente: "Però non vorrei pagare nella maniera tradizionale..."
     Commerciale: "Nel senso che vuole allungare i tempi di pagamento?"
     Potenziale cliente: "No, nel senso che voglio pagare non per la pubblicità che compro, ma solo in ragione dei prodotti che      effettivamente riesco a vendere grazie alla pubblicità acquistata sulle vostre reti..."
     Commerciale: "Arrivederci".

Al contrario, le agenzie pubblicitarie di Internet non vedono l'ora di contendersi clienti di questo tipo; il terzo soggetto di questa relazione commerciale è rappresentato dagli editori. Che cosa accade dunque? Dal momento che Internet è ancora considerato uno strumento pubblicitario di scarsa efficienza e quindi di scarso interesse, le agenzie pubblicitarie stesse (che normalmente non si occupano solo di Internet) tendono ad accettare tranquillamente proposte di revenue sharing. Come è noto, non sono le agenzie pubblicitarie stesse a essere coinvolte nella 'fornitura' di traffico ai clienti; le agenzie pubblicitarie sono soltanto un tramite per mettere in collegamento clienti-merchant (chi vende servizi/prodotti) con editori (chi ha a disposizione traffico di utenti internet da veicolare).

Clienti --> Centri media --> Agenzie pubblicitarie --> Concessionarie --> Editori


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