No alla brevettabilità del software
di Fabio Giovacchini


A dirlo è il Parlamento Europeo, che ha cancellato la direttiva sulla brevettabilità del software.


Il 06/07/2005 il Parlamento Europeo ha cancellato la direttiva sulla brevettabilità del software a larghissima maggioranza, 648 voti favorevoli alla cancellazione, 14 contrari e 18 astenuti.
Viene in questo modo respinto il tentativo fatto dalle grandi aziende che operano nel campo dell’IT, Microsoft e Intel su tutte, di esercitare il diritto di “proprietà intellettuale” non solo sul software e sull’hardware ma anche sugli strumenti che vengono utilizzati per creare le applicazioni che quotidianamente utilizziamo sui nostri computer. Sul fronte opposto l’associazione “No Patent” che forte dell’appoggio scontato della comunità open source è riuscita a far convogliare sulle sue posizioni anche il vasto sottobosco di piccole e medie imprese IT europee che non sono costantemente sotto la luce dei riflettori.
Ma in realtà che cosa ha scongiurato questa presa di posizione del parlamento europeo? Prima di tutto occorre dire che si tratta della prima volta nella storia che il Parlamento respinge una proposta legislativa in seconda lettura della procedura di codecisione, a testimonianza del fatto che una scelta diversa avrebbe messo in ginocchio buona parte delle aziende operanti nel settore, lasciando spazio solo ai giganti del settore. Sarebbe come brevettare le note del musicali ha dichiarato uno degli esponenti dell’associazione e questa affermazione, sebbene ad effetto, non è tanto lontana dalla situazione che si sarebbe venuta a creare. Però come spesso accade la decisione di non decidere lascia aperte molte problematiche non risolte; per fare un esempio il sindaco di Monaco di Baviera Christian Ude aveva deciso di abbandonare i sistemi proprietari e di far migrare la rete pubblica (circa 14.000 PC) della sua città su O.S. Linux, in seguito aveva dovuto fermare il progetto quando scoprì che in tale modo rischiava di violare più di cinquanta brevetti software. Il sindaco è ancora nella stessa situazione, i brevetti sono “dormienti” e tali probabilmente rimarranno ma è comprensibile lo sgomento di chi non si sente tutelato dalle leggi nel supporto di decisioni che sono squisitamente di carattere tecnico.
Il nodo gordiano da sciogliere quindi rimane sempre lo stesso: come tutelare chi intende proteggere, in maniera sacrosanta, cinque anni di ricerca e sviluppo della propria azienda in uno dei campi dell’innovazione tecnologica e contemporaneamente reprimere lo speculatore che brevetta il tasto di “reset” sui computer? La risposta forse è banale e scontata, però si chiama competenza. Competenza negli uffici brevetti, europei e statunitensi, in maniera tale che questi si trasformino da apparati burocratici con il mero compito di ritirare il danaro e verificare la correttezza formale di una domanda di copyright, in centri di valutazione tecnico-scientifica del brevetto stesso, con la capacità di respingere richieste e di valutare il grado di innovazione dei prodotti tecnologici che il proprio paese produce.


AUTORE TESTO
Fabio Giovacchini
Netfarm

Pubblicato il: 08/07/2005


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