10 aprile 2001
Motore di marketing?

Perché pagare per quel che gli altri ti danno gratis?

Quando venne lanciato GoTo.com nel 1998, molti, se non tutti, si fecero questa domanda. GoTo è a oggi il più vecchio motore a pagamento del Web. Non fu però il primo. Oggi non esiste più e pochi se ne ricordano, ma a metà del 1996, Open Text, allora uno dei principali motori di ricerca internazionali, risolse di ‘vendere le posizioni’: decise cioè di consentire ai propri inserzionisti di determinare il posizionamento del proprio sito nei risultati di ricerca a fronte di una cifra spesa per click ricevuto. Il risultato fu un vero e proprio flop. Sarebbe complesso analizzare questo insuccesso, ma forse uno dei motivi principali fu che la Rete non era ancora ‘pronta’. I siti veramente validi erano allora ben pochi se commisurati con quelli di oggi e soprattutto sembrava che Internet fosse una cash machine anche senza dovere ‘commercializzare’ i propri risultati di ricerca, contaminandone la supposta purezza. I pochi siti del Web riuscivano ad avere comunque una buona visibilità e gli amministratori dei motori di ricerca non sembravano preoccuparsi troppo delle fonti di revenues (quando un sito, già fino a poco meno di un anno fa, era valutato - soprattutto al NASDAQ - più per le pageview e per il numero di dipendenti piuttosto che per gli utili). Perciò, due anni dopo, ebbe larga eco la notizia che GoTo, un motore di ricerca sviluppato in università e meno preoccupato delle possibili ripercussioni negative sul proprio marchio, intendeva riprendere la logica di business di Open Text; due furono i motivi del ‘clamore’ suscitato nel mondo del Web: ancora una volta la purezza dei risultati (la loro attinenza) rischiava di essere inficiata da logiche meramente commerciali e inoltre lo faceva ripetendo apparentemente l’errore Open Text. Molti, tra cui alcuni guru del Web, dichiararono la velleità di questo progetto di business. Oggi GoTo, pur nelle acque tempestose della crisi della Net Economy, è uno dei più grandi motori di ricerca al mondo, con circa 200.000.000 (milioni) di ricerche al mese. Non solo: sono già più di 70 (scrivo nel Marzo 2001) i motori di ricerca a pagamento in lingua inglese. Alcuni sono totalmente sconosciuti, ma molti non più: Findwhat, Kanoodle, Searchound stanno velocemente guadagnando ampie fette di mercato, sia tra i navigatori, sia tra gli advertiser. Qual è la ragione di questo successo?

Fare di necessità virtù?

Ritorniamo alla domanda del precedente paragrafo: perché dovrei pagare per avere quel che gli altri mi danno gratis? Fondamentalmente per due motivi: primo, perché non sempre quel che ci viene dato gratis non ci costa nulla. Se mi regalano una macchina di lusso, posso dire di averla avuta gratis, ma se voglio utilizzarla posso dire che non mi costerà nulla? Evidentemente no. Le spese di trapasso, la benzina, l’assicurazione, il bollo etc etc. rappresentano delle spese reali, a fronte della gratuità della macchina in sé. Se posso inserire gratuitamente il mio sito in un motore di ricerca, ma per farlo devo spendere il mio tempo o quello dei miei dipendenti o, molto più probabilmente, quello di qualche società esperta nella SEO (Search Engine Optimization), posso ancora dire che l’ho fatto GRATIS? E se devo spendere questi soldi periodicamente, onde non perdere le posizioni raggiunte e quindi la possibilità di raggiungere nuovi utenti e quindi di vedere crescere celermente il mio sito? Se poi a questo si aggiunge il fatto che non ho nessuna garanzia del ritorno effettivo di quanto ho speso? A questi dilemmi hanno risposto i PPC SE, i pay per click search engine, i motori di ricerca a pagamento.
Vedremo alla fine della nostra analisi il secondo motivo per cui è lecito dire che la promozione in un motore di ricerca non è MAI gratuita.


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