Moore e le sue Leggi
di Erica Baratto


"La velocità dei processori raddoppia ogni 18 mesi"
"Il costo di una fabbrica di chip raddoppia da una generazione all'altra"


Il limite principale della Legge di Moore sta nel fatto che non è facile definire cosa sia la "velocità" o la "potenza" di un processore e di conseguenza non è facile misurarne il "raddoppio", riferito in questo caso al numero di transistor per pollice quadrato (concetto meno fruibile della "velocità" in termini di campagne pubblicitarie).
Qualcuno esprime la velocità di un processore in Mips (milioni di istruzioni per secondo) senza considerare, però, il livello di complessità delle istruzioni, altri la esprimono in gigaflop (velocità di calcolo di numeri interi o in virgola mobile). Non ci si può dimenticare, però, che se un processore estremamente potente è affiancato da un'architettura di bassa qualità o da un disco rigido poco efficiente, le sue potenzialità non si incarneranno mai in una prestazione che soddisfa le aspettative. L'aumentare della densità di transistor sulla superficie di un chip, più che influire sulla velocità, nel senso di megahertz, incide sul consumo energetico e sui costi di produzione: chip più piccolo = meno silicio. L'aumento di potenza (quale che sia) non può prescindere dalla "miniaturizzazione" ma nemmeno questa rappresenta sempre un progresso, infatti è probabile che processori meno piccoli (la cui fabbricazione è meno delicata) a parità di potenza siano più affidabili e meno costosi. Resta il fatto che la Legge di Moore è, giustamente, molto apprezzata da chi trae profitto dal commercio di microprocessori, anche il co-fondatore di Sun Microsystem, William N. Joy, (nell'articolo, pubblicato su Wired nel 2000, "Perché il futuro non ha bisogno di noi") afferma che la Legge ci accompagnerà ancora per almeno 30 anni e tutto questo grazie all'elettronica molecolare e alle tecnologie nanoscalari.
La prossima portata di questo colossale banchetto sembrerebbe essere il computer quantico. Un sistema computazionale quantistico che invece di operare sui bit d’informazione come i computer con transistor disegnati litograficamente opera su qubits, bit di informazione che possono assumere non solo valori come 0 e 1 ma anche un valore intermedio chiamato quantum mechanical superposition state. Morte di un paradosso!
L'interno del computer diviene una black box, nessuno sa cosa vi avvenga ma i qubits alla fine dell'operazione divengono bit tradizionali.
Non avendo un fisico a portata di mano non mi resta che dire: qualche volta funziona, o almeno così si dice, ma la meccanica quantistica è una donna che ama essere corteggiata e gli ingegneri in questo campo hanno non poco da imparare.
Essendo Gordon Moore non solo un ingegnere elettronico, ma anche uno dei fondatori di Intel è ragionevole supporre che la sua affermazione (divenuta poi Legge per alcuni, "intuizione lungimirante" per altri leggenda) possa non essere incompatibile con le strategie commerciali di Intel.
L'industria cui si riferiscono queste Leggi è matura e presenta alte barriere all'entrata unitamente ad una bassa propensione a correre rischi. L'unica Legge che trasuda dall'industria è che per sostenere il ciclo di cambiamento, che ci propone macchine più potenti allo stesso prezzo e non prezzi più bassi a parità di prestazioni, è necessario disporre di un flusso economico costante. Lo sviluppo di nuove tecnologie a prestazioni superiori è strettamente legato alle possibili applicazioni di massa perché sono i mercati di massa a ripagare le spese di sviluppo. La questione da considerare non riguarda il numero e le dimensioni dei transistor ma la possibilità di produrre sistemi sempre più complessi a costi sempre più bassi perché le nuove tecnologie assumono un grande valore solo se la loro diffusione è molto vasta.
Il tema dell'obsolescenza forzata è tanto caro a "chi compra" quanto la Legge di Moore lo è per "chi vende". Questo tema non riguarda solo i microprocessori. Non è insolito trovare software inefficienti o concepiti per consumare troppo in modo da rendere necessaria un’espansione della memoria (Ram), e lo stesso si riscontra anche considerando componenti o funzioni.
Tra le campagne "interessanti" di Intel vi è quella che intendeva far credere che fosse necessario un Pentium 3 per collegarsi ad Internet (ma questo è un fenomeno che riguarda l'intero settore).
Le stesse problematiche si trovano nel collegamento alla Rete: molti siti dimostrano una grande creatività, ma molti cromatismi sono assolutamente inutili, spesso non sono aggiornati e nemmeno utili per l’utente: si riducono ad essere simili alla vetrina di un negozio più che ad uno spazio in una fiera campionaria.
In Rete spazio e tempo si contraggono, è un luogo di scambio e condivisione, ci permette di accedere ad una quantità di informazioni impensabile fino a pochi anni fa.
La Rete si nutre di se stessa e per questo credo che le sue future applicazioni siano addirittura difficili da immaginare e, in una certa misura, anche pericolose (secondo alcuni la crisi più seria che l'umanità è destinata ad affrontare riguarda il modo di trasformare tutte queste informazioni in conoscenza strutturata mentre secondo altri sarà riuscire a fare in modo che questo non avvenga) ma pubblicizzare un pericolo non crea profitti mentre affermare che "la disponibilità della banda larga raddoppia ogni dodici mesi a parità o a minor costo" (Legge di Gilder) crea un senso di benessere soffuso di ottimismo. Ingegneri, economisti e sociologi si stringono alle proprie Leggi facendone scudo o bandiera secondo le necessità (e noi con loro) ma è difficile non chiedersi: e se avesse ragione Murphy?


di Erica Baratto
erica.baratto@gmail.com

Erica Baratto è laureanda in Scienze Statistiche per la Gestione delle Imprese presso l'Università degli Studi di Padova. Attualmente sta sviluppando una tesi sul marketing e sulle le comunità virtuali. I suoi interessi si rivolgono al web marketing e alle dinamiche del movimento open source.


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